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sabato 10 maggio 2008

Umanità in eccesso

folla Cresciuta grazie a continui flussi migratori, Città del Messico, o piuttosto l'area metropolitana dell'antica valle di Tenochtitlan, oggi conta circa 25 milioni di abitanti. Ne arrivano 1500 al giorno, si dice, e non si sa quanti l'abbandonano. Negli ultimi decenni la capitale messicana si è trasformata, da centro di produzione industriale dagli anni '40 sino a metà degli anni '80, a centro di servizi e consumo. Oltre 1500 centri commerciali invadono i quartieri e le periferie di questa città che oggi può offrire tutto, o quasi, ai suoi abitanti trasformandoli in consumatori famelici di ogni genere di merci e oggetti. E come tutte le società di consumo che si rispettino, oggi anche la megalopoli messicana, destinata secondo alcuni a diventare presto la più grande al mondo, produce rifiuti e scarti di un modello di consumo fondato sull'usa e getta. Tant'è che si calcola che produca oltre 20.000 tonnellate di immondizie al giorno, oltre un quinto della «produzione» nazionale. Metà rifiuti organici, metà inorganici e industriali.
Così, secondo gli esperti, a città del Messico la crisi dei rifiuti s'avvicina. Il grande deposito situato al nordest della città sta esaurendo il proprio spazio e già si prefigura il collasso del sistema di smaltimento. Ma questa non sarà l'unica causa della crisi. L'altra è che oltre la metà dei rifiuti - almeno 12mila tonnellate - è smaltita in discariche abusive che invadono le poche aree protette dentro e fuori la macchia urbana. Migliaia di depositi informali che presto diventano inceneritori improvvisati, fonte di ogni male. Ben lo sanno a Napoli e dintorni, ma qui non ci si fa caso: studi e statistiche non esistono e tutti sopravvivono pensando che una qualche emergenza pur deve esistere, ma le urgenze son ben altre. Tra queste, la sopravvivenza.
In una società dell'abbondanza ma non per tutti, parte delle migliaia di persone che giungono nella capitale a provar fortuna viene più o meno bruscamente espulsa verso l'esterno, in quel che ingenuamente molti chiamano la periferia. Allora, alle migliaia di tonnellate di immondizie prodotte dalla megalopoli si aggiungono migliaia di «rifiuti» umani, anch'essi scarti del modello di produzione e di consumo dominante. Ed è paradossale che proprio queste persone, rifiutate dal modello ma non dalla società ritrovino un ruolo a tutti funzionale proprio tra i rifiuti che si accumulano nelle discariche legali e abusive. Li chiamano pepenadores, letteralmente «raccattatori», e sono oggi almeno 250mila in tutta la megalopoli. Gli scarti - umani - del consumo sfrenato si collocano all'ultimo anello del sistema produttivo, quello dei rifiuti, per separarli, riutilizzarli, riciclarli, rimetterli in circolazione nello stesso modello che sino a poco prima li aveva eliminati. Vivono tra le immondizie, in case costruite con materiali di recupero sulla cima delle montagne - non le collinette imbellite dai prati delle nostre periferie - che crescono anno dopo anno.
Qui mangiano e si nutrono di avanzi e scarti di ogni genere, condividendo quanto si riesce a setacciare. Un sistema affermato, anzi quasi istituzionalizzato visto che pur nell'informalità della situazione, da anni ormai il governo ha portato loro alcuni servizi: in alcuni casi la corrente elettrica, in altri l'autobotte dell'acqua una volta a settimana o il maestro per i bimbi che qui nascono e crescono. Una microsocietà parallela, con relazioni proprie (cariche di solidarietà), con capipopolo (gli unici che riescono a uscire da questo mondo), con religioni autoreferenziali ed autogiustificanti e che gode, se così si può dire, delle giuste protezioni di un sistema politico pronto a utilizzare quest'esercito informale di setacciatori per raccogliere voti e controllare l'opposizione quando questa scende in piazza. É la storia di un rapporto simbiotico e paradossale tra i rifiuti di un modello di consumo ormai affermatosi e migliaia di persone che riescono a trovare tra le immondizie la protezione economica e politica necessaria per sopravvivere.

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