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venerdì 13 giugno 2008

Dino Risi, sorridere anche alla morte

 

di Leonardo Jattarelli
ROMA (10 giugno) - Appassionante e profonda, come i suoi film. Sicuramente se ieri mattina Dino Risi avesse potuto sedersi in platea per assistere alla propria commemorazione, non avrebbe storto il naso come faceva sempre quando si trattava di celebrare e autocelebrare il suo cinema, il suo essere anticonformista, spietatamente dolce, non troppo dolcemente spietato, a volte. Mai addomesticabile. L’addio che gli hanno tributato alla Casa del Cinema i suoi parenti, gli amici, i colleghi, la gente, tanta, che ha apprezzato il suo modo di intendere la vita e l’arte è stato l’addio di chi ama: confidenziale e appassionato, aneddotico e stupito, commovente e sorridente, anche.

La gente è tantissima, si deve allestire un’altra sala, approntare altoparlanti all’entrata della Casa del Cinema tra la quiete di Villa Borghese. C’è tutto il cinema da Dino Risi, comprese maestranze, truccatori, macchinisti. C’è il vecchio e il nuovo, la tradizione e l’innovazione come pensiamo avrebbe gradito lui, tutti insieme all’interno, in sala, chi seduto in terra, chi su divanetti improvvisati, chi sui gradini, come in quei collettivi di una volta che adesso fanno tanto vintage. Ieri di collettivo c’era il sentimento di un’idea, di uno sguardo che Risi ha spalmato sull’Italia per cinquant’anni «quell’Italia che la nostra generazione - sottolinea un altro maestro, Mario Monicelli - ha preso per mano tirandola su dalle macerie, da una guerra stupida e infantile, da una dittatura stupida e infantile grazie alla solidarietà, allo stare insieme. Dino ha raccontato l’Italia fattiva e le prime insidie che stavano corrompendola attraverso film memorabili. Ha avuto una vita intensa e fortunata, ha fatto il cinema che voleva ottenendo grande successo. Ci ha lasciato - dice ancora Monicelli, commosso - una testimonianza del suo lavoro, che è anche una speranza. E una disperazione. Credo». Poi sorride a parla di una scommessa: «Sì, su chi sarebbe morto per primo e su chi avrebbe campato di più. Abbiamo vinto tutti e due ma lui la vera scommessa l’ha vinta con il suo modo di vivere».

Un pianoforte a coda proprio sotto il grande telone rimanda la colonna sonora di Profumo di donna, ad eseguirla un altro maestro e compagno di tanto cinema, Armando Trovajoli, silenzio raro, applausi trattenuti. Come per la poesia scritta dal fratello di Dino, Nelo Risi che ha letto passi di un incontro a tre «quella mattina di maggio al Verano, con Dino ricordando nostra madre, Giulia». «Il dolce tra noi era che ci vedevamo poco - continua Nelo Risi - e ci siamo salvati anche per questo. Ho letto i giornali in questi giorni, per l’Italia è come se fosse morto Gandhi. A volte i quotidiani sono ridicoli, non so se avrebbe fatto piacere a Dino ma credo di sì. La commedia all’italiana? No, lui ha fatto la commedia della vita».

Applausi, finalmente, come un tributo liberatorio, tributo che Risi, ricorda Ettore Scola, non avrebbe amato: «Esecrava le commemorazioni, diceva ”è tutta una passerella di gente che parla solo di sè. Lui non andava mai ai funerali e oggi non è venuto neanche al suo». Già, perchè ieri non c’era feretro alla Casa del Cinema; le ceneri di Dino Risi «verranno disperse a Murren, vicino Berna» dice il figlio Claudio, a Murren dove il regista conobbe la prima moglie, Claudia Mosca. «Papà - riprende Claudio Risi - quando ero piccolo ricordo che mi diceva sempre ”ma tu sarai il mio bastone della vecchiaia?”». Scola torna sul Risi compagno di cinema e di vita: «Con Dino si parlava di tutto, molto poco del film da fare, quello era un particolare. Chiacchieravamo di donne, politica, medicina, del gusto di vivere e anche della morte». «La sua carica a volte offensiva mi attraeva - confessa Manuel De Sica - ho sempre pensato a Risi come ad un secondo padre. Una volta litigammo, io gli mandai un mazzo di rose rosse e lui, stupito ”Cacchio, è la prima volta che ricevo rose da un uomo!”».

Ci si abbraccia sotto il grande telone, ci si bacia con affetto, si torna indietro nel tempo, piccoli crocchi di amici e colleghi, ci sono tra gli altri Raffaele La Capria e Sergio Castellitto, Silvio Orlando e i fratelli Vanzina («Quando morì mio padre - ricorda Enrico - Dino mi telefonò per chiedermi se mi servisse una sponda adulta e sicura. Ricorderò per sempre quella telefonata»), Citto Maselli e Valerio Mastandrea, Rutelli con la moglie Barbara Palombelli, Sorrentino e Villaggio, Silvio Orlando e la Archibugi, Gemma, Sgarbi, Haber...

Marco Risi accanto ai figli e alla moglie Francesca D’Aloja prende la parola, quasi fuggendo dal ricordo: «Le ultime parole di papà sono state “pensa al tuo film”. E allora adesso vado a Napoli sul set, a lavorare. Se Dino fosse stato qui ora forse non si sarebbe sentito a suo agio davanti a tanti elogi. Avrebbe detto, come faceva quando veniva gente a trovarci ”Se fossi a casa vostra, adesso andrei a casa mia”». E si ride, come è giusto, anche davanti alla morte. Ciao maestro.

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