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domenica 23 marzo 2008

"Il mio cuore malandato...


Dodici poesie e una musicassetta dentro un vecchia busta: è il materiale che Enzo Decaro
ha riportato alla luce. Esce il 4 aprile "Poeta Massimo". Omaggio all'amico scomparso

"Il mio cuore malandato..."
i versi di Troisi diventano canzoni

di SILVANA MAZZOCCHI
Versi fatti riemergere trent'anni dopo con quella gioia sofferta e discreta che solo una grande amicizia permette. Dodici canzoni scritte da Massimo Troisi insieme con Enzo Decaro nel 1975, all'inizio del loro sodalizio artistico, prima del grande successo toccato alla Smorfia, quando il trio Troisi-Arena-Decaro conquistò la notorietà grazie alla radio e alla tv. Dodici poesie, rimaste finora sconosciute, che Troisi aveva musicato con il suo amico chitarrista Vincenzo Purcaro (in arte Decaro). Una sfida lanciata con ironia e dedizione, in una stagione lontana intrecciata di passioni, speranze e utopie. Il disco, Poeta Massimo, in uscita il 4 aprile, verrà presentato in contemporanea al ministero dei Beni culturali. "Eravamo due ragazzi che cercavano la loro strada. E le canzoni, la musica erano una delle tante possibili. Ci vedevamo dove capitava, Massimo buttava giù un'idea e se ne parlava, se ne discuteva".
"A volte - continua Decaro - i versi gli venivano di getto, altre volte preferiva tornarci su per conto suo, li cancellava, li correggeva, me li rimandava. E io a lui, all'infinito. Ho conservato queste nostre carte per così tanto tempo; poi, improvvisamente, è accaduto un piccolo episodio, qualcosa che mi ha fatto cadere addosso la necessità di affrontare quel capitolo della nostra vita. Ho sentito l'urgenza di rendere nota una pagina importante e ancora inedita della carriera artistica di Massimo. Per me è stato un po' come finire "un compito di testimonianza" di cui sono solo per caso il protagonista di servizio, il tramite per offrire al pubblico, soprattutto a quello più giovane, le prove del grande valore poetico di Massimo. Quello venuto fuori completamente con Il Postino".

Decaro, smaliziato attore di fiction e cinema, quando parla del Poeta Massimo, perde l'abituale disinvoltura. Ricorda con pudore quello che accadde tre anni fa e le ragioni che lo hanno convinto a riesumare quei versi altrimenti destinati al silenzio. "Una sera ero con i miei figli e guidavo lungo una superstrada quando mi sono trovato davanti un'auto che aveva imboccato in senso inverso la mia corsia di sorpasso. Evitai per miracolo l'incidente, ma in quel momento mi sono visto scorrere la vita davanti, compreso quello che ognuno sa, che siamo solo in affitto e che dobbiamo tenere sempre la valigia pronta, per lasciare tutto a posto. Mi venne un tarlo: e se mi fosse successo davvero qualcosa, chi avrebbe più trovato le carte di Massimo?". "Allora - continua Decaro - sono andato ad aprire la cassaforte degli affetti. I suoi manoscritti li avevo tenuti in una busta. Mi sono sorpreso che fossero tutti lì, intatti, nonostante le innumerevoli case che avevo cambiato e i tanti traslochi che avevo fatto. Ma la vera sorpresa è stato ritrovare una cassetta audio, una di quelle musicassette che si usavano all'epoca, con incisi i testi e le musiche che avevamo scritto insieme". Il disco artigianale di quei due ragazzi del '75, "quelli della foto". Grazie alla suggestione dei ricordi, cantando quei versi, Decaro si è sentito come "il ragazzo di allora". "Cose preziose, rare. Noi non scrivevamo mai niente: figuriamoci che, nel caso della Smorfia, abbiamo letto i nostri testi la prima volta solo quando li ha pubblicati Einaudi. La casa editrice li aveva presi dai canovacci che usavamo in teatro, prima di registrare lo spettacolo per la tv".
Dodici le canzoni. E una tredicesima rimasta inedita. "Ce l'aveva un nipote di Massimo, l'ha tirata fuori quando gli ho fatto sentire la cassetta ritrovata. Si chiama Ammore a prima vista. Mi sono subito ricordato quando ci avevamo lavorato e come l'avevamo abbozzata, ma il disco era ormai quasi finito ed era troppo tardi per inserirla. Realizzarlo è stato faticoso, anche se si è rivelata una straordinaria opportunità. Ho avuto il privilegio di mettermi in relazione con quella parte di Massimo alla quale sono stato sempre legato, quella poetica, quella che, con emozione e trasalimento, ormai tanti anni fa vidi coronata nel Postino". Assicura Decaro che ha osato riprendere i versi di Troisi "tanto tempo dopo la scomparsa di Massimo" proprio perché convinto di averci ritrovato dentro le stesse atmosfere del film più amato. "Altrimenti non sarei mai riuscito a farcela. Da una parte questa cosa mi dava una grande gioia, ma dall'altra anche una grande sofferenza; non mi sentivo ancora pronto al distacco, e non lo sarò mai. Alla fine mi sono messo al lavoro solo grazie ai compagni di strada eccezionali che ho incontrato. Nella cassetta del '75 c'erano già tutte le nostre canzoni, in diversi stati d'elaborazione. Io le cantavo accennando appena la musica con la chitarra. Ci sono servite come traccia, ma per svilupparle ho voluto trovare dei musicisti veri, in grado di rispettare lo spirito dell'epoca e di restituirle a una dimensione musicale più attuale. C'era il rischio che risultassero datate, sebbene i testi siano poesia pura e dunque senza tempo, soprattutto quelle che parlano d'amore o di sociale. Ho cercato i musicisti migliori, che hanno saputo trovare la giusta atmosfera. E tutti sono riusciti a dare un contributo mirato, prezioso e particolare. Anche se, per raggiungere lo scopo, i tempi sono diventati spesso lunghissimi; solo per avere Paolo Fresu ci sono voluti quattro mesi. Ma Quanta brava gente ha un assolo di tromba struggente, meraviglioso". Un lavoro scandito da pause ripetute e accelerazioni improvvise. "Ogni pezzo è stato un'avventura. Le canzoni di Massimo hanno funzionato un po' come il fuoco di Prometeo: i testi e le note della cassetta accendevano in chi si avvicinava una luce alla quale si aggiungeva sempre altro, in piena sintonia. E, alla fine, ogni musicista è riuscito a portare qualcosa di originale, pur rispettando la luce iniziale e quel filo a matita già così ben delineato. Le parole delle canzoni si sono rivelate poco importanti, mentre determinante è stato il loro potere taumaturgico; è stato come se ognuno di loro si fosse trovato a collaborare direttamente con Massimo. E siamo riusciti a garantire al disco testi originali e vena poetica".
Materiale grezzo, testi in bella copia e versi fitti di cancellature. "Alcuni, lo ricordo bene, erano venuti fuori in modo particolarmente sofferto. Rimpianto, è uno di questi. Massimo scrisse questa canzone una sera, dopo aver parlato a lungo con me di sua madre, che aveva perso da bambino. Fu l'unica, volta che mi confidò questo aspetto così privato di sé: dentro quei versi di ragazzo c'era già il Troisi del futuro, il geniale esploratore della grande tradizione napoletana, il raffinato interprete di "Ricomincio da tre", l'attore, lo sceneggiatore, il regista dei film successivi che avrebbe toccato l'eccellenza della sua vena poetica con Il Postino, generalmente considerato il suo testamento artistico. "La sua idea della scrittura, il suo atteggiamento rispetto alle cose era sempre diverso, profondo. E cercare di ritirarlo fuori è stato un esperimento. Quando eravamo insieme, era come se, con Massimo, non ci fosse mai tregua, mai pace. Lui era alla continua ricerca di un punto di vista personale sulle cose che contano, sulla vita. E, nei suoi versi, questa ricerca è evidente. Come avviene con la poesia che, quando è vera, non è mai banale".
Si commuove Decaro quando ricorda che "Il Postino" fu contemporaneo alla scomparsa dell'amico (Troisi morì il 24 giugno del 1994 a soli quarantuno anni, il giorno dopo aver terminato il film che avrebbe ottenuto quattro nomination all'Oscar). "Il Postino per me è la sua opera migliore; c'era dentro lo stesso Massimo che, con la sua poesia e il suo talento, ho ritrovato nelle nostre canzoni e il mio rammarico, anzi di più, è non sapere verso quale direzione sarebbe andato se non fosse morto. Perché da quel grado di poesia non sarebbe certo potuto tornare indietro. E allora avrebbe dovuto fare i conti con la sua grandezza, la stessa che emanava da ragazzo, quando l'ho conosciuto, la stessa che mi aveva sedotto e conquistato. Erano rimaste silenziose quelle canzoni; da allora nessuno le aveva mai più ascoltate, né gli amici ne avevano mai più parlato. "Ho ritrovato anche un paio di testi di Lello Arena, glieli devo restituire, gli appartengono. È che ci lasciammo tutto alle spalle e la canzone era per noi un'esperienza finita. Due anni dopo esplose La Smorfia, arrivò il successo e ci travolse. Improvvisamente venivamo pagati per fare quello per cui normalmente pagavamo noi. Eravamo entusiasti e non avevamo tempo per altro. In seguito ci siamo visti in modo discontinuo, purtroppo. Mentre adesso, con queste canzoni, attraverso un percorso circolare e perfetto, si è finalmente chiuso in cerchio il ciclo poetico di Massimo.
(23 marzo 2008)

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