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domenica 2 marzo 2008

L'altra Napoli - La Cappella San Severo

Questo post di oggi è intitolata L'altra Napoli , ho pensato , che l'immagine della mia città in questo periodo è continuamente danneggiata dalle questione dei rifiuti e dai delitti della camorra, facendo dimenticare che la mia terra è ricca di storia e di cultura. E che quindi (nel mio piccolo creando dei post che rimandano, appunto all' "Altra Napoli"), spero di rendere più diversificato è più giusto quello che la mia regione e la mia città possono offrire a chi viene a visitarla, ma anche ai miei stessi concittadini che vedo e sento parlare ( mi ci metto pure io) male del nostro territorio, dimenticandoci molte volte le bellezze, l'arte, la cultura che ci offre. Voglio però sottolineare che dei fatti incresciosi continuerò ad occuparmene, perché va bene tutto, ma non mettere la testa sotto la sabbia come gli struzzi.
P.S:
Vorrei segnalare a chi è capitato sul blog, se nel caso volesse, può approfondire il tema in questione cliccando sull'immagine qui sotto, è possibile vederne ancora delle altre, mentre se lo si fa sul titolo del Post si può leggere un bella biografia del Conte di San Severo (da Wikipedia). Nick


CAPPELLA SAN SEVERO

Secondo la testimonianza dello storico Cesare d’Engenio (1624) la fondazione della cappella potrebbe fissarsi intorno al 1590, quando Giovan Francesco di Sangro duca di Torremaggiore, avendo fatto voto durante una grave malattia, fece costruire in una parte del giardino del suo palazzo una «piccola cappella» per venerare un’immagine della Vergine della Pietà. Nel 1608 Alessandro di Sangro, figlio di Giovan Francesco, ampliò l’ambiente primitivo «perché non era capace al concorso di molti, che la frequentavano per gli infiniti miracoli» e destinò la cappella, oltre che ai compiti di culto, a luogo di sepoltura per la sua famiglia.
Il periodo seicentesco è alquanto oscuro perché l’attuale sistemazione dell’ambiente, voluta da Raimondo di Sangro nel secolo successivo, scompaginò in gran parte l’assetto originario per far posto alle nuove opere da lui stesso coordinate. Non si conosce il nome dell’architetto che diresse l’edificazione della struttura originaria, ma probabilmente egli dovette seguire le idee del committente, poiché la semplicità della pianta rettangolare, priva di una vera e propria abside, e volta a dare il massimo risalto alle sculture celebrative ed alla decorazione, escludono un momento ideativo reale.
Ma un primitivo fasto seicentesco dovette esistere nella cappella in quanto Pompeo Sarnelli annotò nel 1697 che la cappella è «grandemente abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le Statue di molti personaggi di essa famiglia co’ loro elogi».
Qualcosa di questa decorazione rimane nel rivestimento in marmi policromi della parete di fondo, ai lati del grande altorilievo settecentesco.
Dei molti monumenti ricordati anche dal Celano nel 1692 ne restano solo quattro: quello di Paolo di Sangro posto dal figlio Giovan Francesco nel 1642 - attribuito con felice intuizione da Marina Picone a Giulio Mencaglia, e per il quale solo molti anni dopo è emerso il documento di conferma - è collocato nella prima cappellina della parete sinistra. Il suo ritratto a figura intera è da considerarsi uno degli esempi più insigni di ritrattistica seicentesca. L’effige con gli attributi militari in primo piano riflette lo spirito eroico di quella ampia parte della nobiltà napoletana che cercò glorie e onori al seguito degli eserciti spagnoli sui campi di battaglia di tuttoil mondo.
Vi è poi il Monumento ad un altro Paolo di Sangro (1569-1626), quarto principe di Sansevero, scultura attardata nei modi ancora cinquecenteschi, benché databile al secondo quarto del secolo XVII, posto nella prima cappella a destra. Il Monumento a Giovan Francesco Paolo di Sangro (1524-1604), fondatore della cappella, è collocato dopo quello del Mencaglia e fu voluto dal figlio Alessandro di Sangro, patriarca di Alessandria, il cui ritratto a mezzo busto freddamente stilizzato è posto nella parete sinistra del presbiterio.
A partire dal 1742 iniziano le vicende settecentesche della Cappella. Il principe Raimondo di Sangro (1710-1771) che da quell’anno fino alla morte sovrintese costantemente alle trasformazioni dell’ambiente, incarnò in pieno lo spirito del secolo di cui era figlio: singolare figura di uomo d’arme, letterato, sperimentatore, e alchimista dall’inappagata curiosità, fece fiorire, ancora in vita, numerose leggende sul suo personaggio.
Nel 1749 il pittore Francesco Maria Russo concluse il grande affresco della volta raffigurante la Gloria dello Spirito Santo, e la decorazione con finte architetture dove nelle vele sono inseriti medaglioni dipinti in monocromo verde che raffigurano sei Santi della famiglia.
Il Russo disegnò anche il monumento a Raimondo di Sangro posto all’imbocco della cavea sotterranea.
Tuttavia il maggiore interesse è destato dal gran numero di sculture eseguite da artisti napoletani e di altre regioni, che, caso forse unico nella città in quel momento, si travarono a lavorare affiancati in virtù delle scelte del Principe.
Ai lati del presbiterio, al centro del quale troneggia la vasta scenografia Deposizione di Francesco Celebrano, realizzata secondo il principio del quadro di marmo, sono collocati a sinistra La Pudicizia di Antonio Corradini, e a destra Il Disinganno di Francesco Queirolo. La prima scultura fu eseguita nel 1751 quando lo scultore, famoso in tutta Europa, giunse a Napoli ormai molto anziano (morirà infatti l’anno successivo). È stato notato come quest’opera per la sua sensualità si adatti più ad una «galleria» che non a rappresentare la principale virtù di Cecilia Gaetani, madre del principe, ma la fusione tra gusto profano e sacralità costituì la cifra di questo particolare periodo artistico.
La seconda scultura opera del genovese Francesco Queirolo è basata su un virtuosismo esecutivo stupefacente: un’autentica sfida alle difficoltà opposte dalla materia nella resa della rete che avvolge la figura maschile in atto di strapparla.
Va infine ricordata l’opera più celebre della cappella al punto da essere diventata un po’ il simbolo del monumento: il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino.
Fino al recente ritrovamento del bozzetto orginale si riteneva che la scultura, eseguita nel 1753, fosse stata realizzata su un modello del Corradini. La paternità dell’opera va quindi completamente riconosciuta allo scultore napoletano che, secondo i dettami del committente, la concepì per essere posta nella cavea illuminata dall’alto dalla lampade eterne inventate dal Principe, e non dove oggi la si ammira, al centro della navata. L’originaria destinazione orientò lo scultore verso una ricerca luministica tesa a rivelare le infinite serpeggianti pieghettature del sudano che ricopre il corpo abbandonato sui cuscini. In un fluttuare di luci ed ombre non è percepibile il distacco doloroso della morte, ma solo l’intima poesia dell’opera - sostenuta da una prodigiosa abilità tecnica che avrà modo di affiorare più volte nella lunga carriera dello scultore in quegli anni quasi agli esordi - nella quale vibra un precorrimento di languido romanticismo.
Sintomatico in proposito è il tentativo, fortunatamente fallito. di Antonio Canova, di acquistarla durante il suo soggiorno napoletano.

Scheda tratta da ‘Napoli città d’arte’
Edizione Electa Napoli (1986)


La Cappella San Severo


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